Venerdì scorso, il tribunale di Roma ha preso una decisione che ha fatto scalpore. Non ha convalidato il trattenimento di 12 migranti provenienti dall’Albania, sistemati in centri per richiedenti asilo controversi creati dall’Italia.
Questa scelta ha sollevato polemiche e dichiarazioni accese da parte del governo, che ha contestato aspramente l’operato dei giudici, accusandoli di intrufolarsi in affari di natura politica. In questo clima teso, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha espresso critiche nei confronti della decisione, sostenendo che i giudici romani abbiano superato i propri limiti di competenza. Tuttavia, questa sentenza si basa su una recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che affronta il tema dei migranti accolti nei centri in Albania.
Il governo italiano ha stabilito delle linee guida specifiche per determinare quali migranti possano essere trasferiti nei centri in Albania. La legge prevede che solo le persone provenienti da “paesi di origine sicuri”, quelli che rispettano i diritti civili e dispongono di un ordinamento democratico, possano essere inviate in queste strutture. Questo significa che chi proviene da nazioni con conflitti interni o violazioni dei diritti umani, non può essere considerato “sicuro”. La ragione di tali provvedimenti risiede nella volontà del governo di accelerare il processo di esame delle richieste d’asilo per chi arriva da luoghi ritenuti “sicuri”.
Da circa un anno e mezzo, l’Italia ha attivato procedure accelerate per questi migranti, il che implica un esame più superficiale delle domande di asilo e, purtroppo, la detenzione. Inoltre, le persone destinate ai centri in Albania devono soddisfare alcuni requisiti, come essere uomini in buono stato di salute. Ciò implica l’esclusione di donne, bambini e individui vulnerabili, una misura che ha suscitato molte critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani. Questa situazione diventa ancor più complessa con l’ampliamento della lista di paesi considerati “sicuri”, recentemente arricchita dall’aggiunta dell’Egitto e del Bangladesh, due nazioni da cui ogni anno giungono migliaia di migranti in cerca di asilo in Italia.
La sentenza della Corte di Giustizia Europea
Molto interessante è la sentenza emessa il 4 ottobre dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che pur non riguardando direttamente l’Italia, ha avuto un impatto diretto sul nostro paese. Essa è stata sollecitata dalla Repubblica Ceca e verteva su un caso particolare, quello di un cittadino moldavo richiedente asilo che proveniva dalla Transnistria. Qui, sono emersi dubbi sullo status di “paese sicuro” per la Moldavia, dove si sono registrati incidenti legati ai diritti umani. Questo ha sollevato interrogativi sull’applicazione degli standard necessari per garantire la sicurezza a tutti i suoi abitanti.
La Corte ha stabilito chiaramente che un paese può essere considerato “sicuro” solo se questa qualifica è valida su tutto il territorio. E, inoltre, ha evidenziato la necessità che i giudici verifichino questi elementi di sicurezza in ogni singolo caso. Di fatto, la sentenza ci dice che non basta una lista di paesi definiti sicuri per applicare rapidamente le procedure d’asilo. Questo ha spinto il tribunale di Roma, con la sua recente decisione, a non convalidare il trattenimento dei migranti dall’Egitto e dal Bangladesh.
Implicazioni della decisione giuridica
Questa interpretazione della Corte di Giustizia ha serie ripercussioni sul piano politico e legale riguardante la gestione dei migranti per l’Italia. Secondo il tribunale di Roma, i due paesi da cui provengono i migranti non possono essere considerati “sicuri” in modo uniforme. In entrambe le nazioni, infatti, si registra una grave persecuzione degli attivisti politici e delle minoranze come la comunità LGBTQ+. La protezione dei diritti umani non è garantita in modo omogeneo, il che fa crollare l’argomento secondo cui gli individui provenienti da tali posti possano essere spediti in centri di detenzione senza una corretta valutazione.
La determinazione del tribunale ha portato a riconsiderare il piano del governo italiano di “delocalizzare” la gestione dei migranti in Albania. Questa strategia, fortemente promossa dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, potrebbe trovarsi con notevoli limiti, specialmente in un contesto in cui molti migranti in arrivo in Italia provengono da paesi in conflitto o con un contesto di insicurezza evidente. Gli effetti di questa sentenza potrebbero pertanto riflettersi su quanto sia praticabile l’intero progetto governativo, creando un significativo punto di tensione con le aspettative politiche e le reali capacità di gestione delle domande d’asilo.