Senza olio di palma – Anglofonie e cacofonie

A: Ma sei sicuro che sia il caso di procedere in questo modo? Qui ci giochiamo la reputation dell’azienda.

B: Più che sicuro. Basterà fare un bel business plan e il gioco è fatto.

A: Mmhh… Sono scettico. Non credo che l’effort sia stato valutato in maniera adeguata.

B: Convengo con te che ci sono dei rischi. Ma hai visto la swot analysis, i punti di forza sono di gran lunga superiori alle weaknesses, e i threats sono limitati a poche aree geografiche.

A: Sì, però io vedo problemi di implementation della strategia. Sai come me che non è facile trovare il giusto deployment nelle realtà locali. Non vorrei che le nostre filiali perdessero il focus e il commitment.

B: Beh, se è per questo ci sono i piani di rebate, il miglior modo per tenere in tiro la rete vendita. Ovviamente i rewards devono essere challenging.

A: Sì, ma non ne faccio una pura questione di incentives. Il problema è legato ai delivery di training da HQ verso le filiali per garantire gli skills necessari alla realizzazione del progetto.

B: Ok, vorrà dire che ci terremo tre mesi di contingency.

A: Mmhh… Non mi hai convinto del tutto, ma procediamo. Se andrà bene, avremo una best practice to copy-and-past per gli altri market segment.

Questo dialogo, surreale fino a un certo punto, potrebbe essere ascoltato in qualsiasi sala riunioni di una qualsiasi azienda del Nord-Est che abbia un minimo di affari e/o struttura commerciale all’estero. Notate niente di strano? Io l’italiano me lo ricordavo diverso… Che fine sta facendo quindi la lingua di Dante? Che stia forse segnando il passo a una nuova neolingua, come aveva profetizzato Giorge Orwell nel suo 1984?

In questa puntata di Senza olio di palma parleremo di Anglofonie e cacofonie.

Il dialogo di cui sopra, che fa certo ridere è, vi assicuro, diventato uno standard per dipendenti di aziende che lavorano con l’estero. Ma come siamo arrivati a tanto? Certo, centinaia di mail e decine di telefonate al giorno in Inglese non aiutano, ma dietro c’è molto altro.

Cominciamo col dire che l’inglese si è affermata come lingua del business perché la più diffusa, ed è “comoda” anche per chi non è madrelingua: la grammatica è piuttosto semplice, e le scuole (alcuni potrebbero precisare “sì, all’estero forse”) forniscono un livello di preparazione sufficiente a non morire di inedie all’occorrenza. Essendo relativamente semplice si presta, più di altre, a essere una lingua cosiddetta franca. Ci sono almeno due passaggi di interpretazione tra due persone che parlano in inglese ma non madrelingua anglosassone: un italiano, che pensa alla frase in italiano, traduce in inglese per farsi capire da un Cinese, che traduce dal suo inglese al cinese con la sua cultura e tradizioni locali. Una lingua dalla grammatica semplice semplifica la comprensione della frase in questo doppio passaggio.

Vi è poi un discorso di sintesi: una frase in inglese sarà irrimediabilmente più corta della sua corrispettiva in Italiano. Non c’è scampo. Questa intrinseca dote si sintesi della lingua anglosassone si ripercuote spesso e volentieri quando dobbiamo poi riprendere a scrivere in italiano: è provato che molte persone perdono, con l’andare del tempo, l’uso dell’articolo determinativo (il, lo, la…) dopo anni di letture, scritture e dialoghi in inglese.

C’è da dire poi che noi Italiani, anche in fatto di lingua, siamo poco patriottici e protezionisti. Anzi siamo ben contenti di arricchire il nostro vocabolario con parole straniere senza colpo ferire. Tanto per fare un esempio, non ci abbiamo pensato nemmeno per un secondo a tradurre in italiano la parola computer, come invece hanno fatto i nostri amici transalpini (ordinateur) e spagnoli (ordenador). Personalmente credo che preservare le nostre tradizioni passi anche per il mantenimento della lingua.

In più, anche la capacità di parlare in un inglese fluente è diventato uno status, al pari dell’automobile o del modo di vestire. In un mondo ancora dominato dagli uomini, è diventato l’ennesimo simbolo fallico e chi parla meglio in inglese ce l’ha più lungo.

In un mondo sempre più globalizzato ho il sospetto che questa non sia, ahinoi, solo una moda, ma un trend (tanto per non smentirsi, altra parola inglese) in continuo e preoccupante aumento. E se le indicazioni economiche saranno confermate, c’è poco da stare allegri: pensate che fine farà l’italiano quando i nostri figli dovranno imparare il cinese per lavorare….

Ora vi lascio, che devo finire di preparare un business case per un workshop che devo presentare in una conf call a cui sarà presente tutto il Board del nostro top customer.

N.B. per chi fosse interessato, traduco in ITALIANO il dialogo di cui sopra (traduzione più o meno letterale).

A: Ma sei sicuro che sia il caso di procedere in questo modo? Qui ci giochiamo la reputazione dell’azienda.

B: Più che sicuro. Basterà fare un bel piano e il gioco è fatto.

A: Mmhh… Sono scettico. Non credo che l’impegno (inteso come complessità) sia stato valutato in maniera adeguata.

B: Convengo con te che ci sono dei rischi. Ma hai visto la swot analysis (intraducibile, si tratta di un’analisi in ambito marketing dove si analizzano i punti di forza Strenght, le debolezze, weaknesses, le opportunità, Opportunities, e le minacce, Threats, in un piano cartesiano), i punti di forza sono di gran lunga superiori alle debolezze, e le minacce sono limitate a poche aree geografiche.

A: Sì, però io vedo problemi di implementazione (parola ora italiana) della strategia. Sai come me che non è facile calarla nelle realtà locali. Non vorrei che le nostre filiali perdessero il focus (anche questa diventata parola italiana) e l’impegno (inteso come dedizione).

B: Beh, se è per questo ci sono i piani di sconto, il miglior modo per tenere in tiro la rete vendita. Ovviamente i premi devono essere sfidanti.

A: Sì, ma non ne faccio una pura questione di incentivi. Il problema è legato all’erogazione di corsi dalla sede centrale verso le filiali per garantire le competenze necessarie alla realizzazione del progetto.

B: Ok, vorrà dire che ci terremo tre mesi di emergenza.

A: Mmhh… Non mi hai convinto del tutto, ma procediamo. Se andrà bene, avremo un buon esempio da usare per gli altri segmenti di mercato.

Stefano Baldoni on BloggerStefano Baldoni on EmailStefano Baldoni on FacebookStefano Baldoni on LinkedinStefano Baldoni on TwitterStefano Baldoni on Youtube
Stefano Baldoni
Vivo a Camponogara. Nel 2012 ho pubblicato il mio primo romanzo, un thriller dal titolo “La gabbia invisibile”, edito dalla Greco&Greco di Milano. Amo scrivere e suonare il basso elettrico, giocare a calcio, leggere, ballare. Sono appassionato di vini: nel 2007 ho conseguito il diploma di sommellier.
Costume e Ilarità LIFESTYLE
Previous reading
Manuale per Rovinarsi la Vita – 1° Regola: “Sii rigido e autoritario”
Next reading
Rdb…qb: Ristorante “La Capinera” a Pianiga